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Il termine
“intellettuale”, stando a quanto riportato dal vocabolario della lingua
italiana, denota “una persona di una certa cultura e di un certo gusto, che
si dedica ad attività culturali o artistiche facendone la sua principale
attività”.
Si tratta,
come evidente, di una definizione alquanto generica, che lascerebbe, in
virtù di ciò, un abbondante grado di libertà nell’individuazione di soggetti
più o meno afferenti alla categoria su citata.
Tuttavia,
soprattutto nella società contemporanea, permeata di superficialità e
tendente a schematizzare ogni cosa in modo netto con conseguente riduzione
dei possibili spazi di riflessione attenta, per intellettuale si intende,
nella stragrande maggioranza dei casi, una persona dalla cultura umanistico
- letteraria, nettamente distinta e distante da interessi scientifici e
tecnici.
Spingendo al
limite questo giudizio o, per meglio dire, pre-giudizio, si immagina la
persona colta impegnata quotidianamente in occupazioni che hanno a che
vedere esclusivamente col mondo delle lettere, della musica, dell’arte o
dell’insegnamento di materie affini.
In realtà,
l’equivoco non nasce per caso, ma deriva dall’ancor oggi irrisolto dilemma
dell’esistenza presunta delle due culture, umanistico e tecnico-scientifica,
separate tra loro e impossibilitate a dialogare e contaminarsi
reciprocamente.
Da ingegnere
per professione e scrittore di romanzi sento il bisogno di ribadire con
passione che non esistono assolutamente due culture differenti, ma
semplicemente un unico nobile atteggiamento rivolto al mondo circostante,
che talora si esprime con parole raffinate, tal altra trova sfogo
nell’elaborazione di teorie fisico-matematiche. Per di più, senza voler
scomodare menti eccelse e perciò rare, nel mondo “reale” del quotidiano è
molto più frequente di quanto si creda imbattersi in persone impegnate
professionalmente nel mondo della tecnica (all’interno di aziende, di
università o come liberi professionisti) ma attratte ugualmente da tutto ciò
che è elaborazione del pensiero, dalla storia alla filosofia, dalla lettura
dei testi classici all’interesse per la musica e così via.
Conseguenza
di questo errato modo di pensare è, molto spesso, il disinteresse o il poco
credito disposto a dare a quanti, provenendo dal mondo della tecnica, si
spingono di tanto in tanto, per diletto o con convinzione, a proporsi in
ambiti diversi, per semplicità detti “intellettuali”.
Fortunatamente, esistono e sono esistiti nel passato anche recente esempi di
ingegneri capaci di imporsi all’attenzione delle masse per le loro opere
“non tecniche”, frutto di interessi non legati strettamente alla loro
formazione universitaria e professionale.
Vorrei citare
un solo caso, come esempio a tutti noto, quello dell’Ing. Luciano De
Crescenzo.
Si tratta, a
mio avviso, di una personalità eclettica di primo livello, capace di
raggiungere ruoli dirigenziali nella nota azienda in cui ha operato per
tanti anni, e, allo stesso tempo, nella sua “seconda vita”, di dedicarsi,
con leggerezza ed ironia (talvolta pagate con giudizi severi della critica
letteraria) alla divulgazione della storia della filosofia o della
mitologia, così come nell’elaborazione di personaggi emblematici di una
realtà sociale che tutti noi viviamo nel quotidiano.
Al di là di
quanto scritto e detto su di lui, ritengo che il messaggio più forte legato
alla fortunata avventura editoriale di Luciano De Crescenzo sia quello di
un’affermazione dell’ingegnere come persona colta che, al pari di ogni altro
laureato, ha dedicato molto della sua vita allo studio, alla lettura e alla
comprensione del mondo circostante.
Naturalmente
si potrebbero fare tanti altri esempi, anche più “impegnati” e “raffinati”,
ma l’idea di fondo non cambierebbe.
Più utile,
quindi, a questo punto, trarre i suggerimenti giusti.
Credo sia
compito di tutti noi, soprattutto di noi giovani ingegneri, recuperare un
prestigio socio-culturale che non resti confinato soltanto nell’ambito della
sapienza tecnica, ma che sia riconosciuto il più possibile anche in altri
“mondi”, senza ovviamente, con questo, indebolire o offuscare il legittimo
senso di appartenenza verso la nostra “casa” professionale.
Altro
compito, di certo non proibitivo, è quello di creare una sorta di “rete”
capace di diffondere e promuovere con orgoglio il frutto del fervore
culturale che nasce “tra di noi”, aiutando a farlo divenire maturo e
potenzialmente conosciuto anche all’esterno. Le nuove tecnologie, come
internet, sarebbero un facile strumento utilizzabile.
Non solo tutto ciò servirebbe a
garantire il rispetto già oggi rivolto verso la nostra categoria, ma
consentirebbe, a quanti lo volessero, di incidere nella società con sempre
maggiore energia ed efficacia, apportando a quest’ultima il giusto grado di
progresso e innovazione che, per un ingegnere, costituiscono il DNA della
propria forma mentis.
PUBBLICATO DA :
Notiziario dell'Ordine Ingegneri di Napoli
(set-ott 2007)
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