La già critica
situazione delle politica italiana e delle sue istituzioni più importanti è
sprofondata in un abisso senza fondo da quando Silvio Berlusconi ha
"occupato" la scena, rendendo il nostro paese diverso e distante da tutto il
resto del mondo occidentale evoluto.
In nessun altro
paese avanzato, infatti, sarebbe stato possibile un tale imbarbarimento e un
tale spregio della cosa pubblica, reso possibile dall'incredibile utilizzo
di un patrimonio personale enorme e, soprattutto, dalla mancanza di leggi
che ne hanno impedito dapprima l'eleggibilità e in seguito la possibilità di
varare norme "ad personam".
Su questo tema si è dibattuto a lungo e ancora molto lo si
farà; si è detto praticamente tutto, nella complessità e diversità delle
opinioni di ciascuno.
Eppure, a distanza di 15 anni, siamo sempre bloccati in
un'eterna contrapposizione tra sostenitori di Berlusconi e
antiberlusconiani, come a segnare ancor più la centralità di quest'ultimo,
da parte di chi lo sostiene e da chi, invece, lo avversa.
Il vero limite della sinistra italiana è stato, in questi
anni, l'incapacità di esprimere una forte leadership, riconosciuta ed
autorevole, da contrapporre al cavaliere.
Ovviamente in alcuni casi ciò è stato fatto, se si pensa
ad esempio a Romano Prodi che, grazie ad un ampio schieramento a suo
sostegno, riuscì a vincere per ben 2 volte le elezioni politiche generali.
Tuttavia, in entrambe i casi, la maggioranza uscita dal
voto, troppo esigua numericamente, non riuscì a durare nel tempo,
disgregandosi alle prime difficoltà e rendendo possibile la rivincita di
Berlusconi.
Perché? Soltanto per un'innata vocazione autolesionistica
della sinistra, impreparata a gestire il potere senza subire mortali
scissioni interne?
Forse si, ma la causa di tutto questo, a mio parere, è
leggermente più complessa.
Forse in una battaglia, pur volendosi e dovendosi
distinguere dall'avversario, bisognerebbe tener conto delle sue peculiarità
e contrastarlo senza sosta e senza benevolente "generosità". Proprio come ha
fatto il cavaliere in tutti questi anni, martellando incessantemente il
paese con i suoi (falsi) slogan e attaccando a testa bassa, quotidianamente,
tutti i suoi avversari. Insomma, senza concedere atti di nobiltà politica
degni di un gentleman.
Facendo questo egli ha potuto, nel corso del tempo,
guadagnarsi il dominio incontrastato nel suo schieramento, reso compatto e,
almeno apertamente, privo di spaccature interne.
La sinistra, invece, ha preteso in questi anni, salvo rare
eccezioni, di continuare a fare politica "alta", riconoscendo l'avversario e
avvalorando addirittura, in taluni casi, la possibilità di cooperare
temporaneamente con lui nel pur necessario processo di ammodernamento della
Costituzione repubblicana (basti pensare, solo per fare un esempio, al
triste epilogo della Commissione Bicamerale per le Riforme Istituzionali, il
cui fallimento, voluto dal cavaliere, segnò sotto certi aspetti il primo
colpo duro alla carriera politica di Massimo D'Alema).
In questo scenario, fatto di un personaggio pronto ad
usare il suo vasto potere (personale ed istituzionale) in ogni modo e di
un'opposizione troppo morbida, incapace di contrapporgli un avversario
forte, capace di dar voce a quella vasta parte del Paese stufa di questa
degenerazione della politica, c'è, a ben guardare, un uomo della sinistra,
non ascrivibile a questo o quel partito dello schieramento, che, nella sua
professione, ha sempre continuato a denunciare la realtà per quello che era,
senza ammorbidirla e senza fare sconti.
Si chiama Michele Santoro.
Il suo giornalismo, definito, dai suoi critici e
avversari, schierato e fazioso, si è distinto indubbiamente perché capace di
raccontare magistralmente i drammi dell'Italia, irrisolti da anni e
aggravati dall'arroganza di una classe dirigente interessata solo ai propri
interessi, che vede in Berlusconi il suo campione più rappresentativo.
Non è un caso che, in tutti questi anni, il cavaliere
abbia visto nel bravo giornalista della RAI un suo terribile avversario, con
cui polemizzare e di cui impedire, quando possibile, il lavoro.
Santoro riesce molto spesso a fare quello che nessun
altro, nel versante più strettamente politico di sinistra, ha avuto la forza
di fare recentemente: compattare l'opinione pubblica progressista, che,
seguendo le sue fortunate trasmissioni, ascolta convinta e appassionata ciò
che intimamente sente e vorrebbe gridare al Paese.
Servirebbe proprio questo all'opposizione
"antiberlusconiana": trovare un soggetto credibile, autorevole, rispettato e
riconosciuto da contrapporre e candidare alla guida del paese.
Fantapolitica?
Forse si, per il momento.
Tuttavia quando lo scontro politico è così duro e
determina, più che in ogni altra epoca storica, il futuro democratico di una
nazione come la nostra, occorrerebbe uno sforzo di immaginazione per
ricercare una figura carismatica che riaccenda nel cosiddetto "popolo di
sinistra" la speranza di vittoria, da troppo tempo svanita nel nulla,
lasciando il posto ad una triste rassegnazione.
Il carisma e la credibilità, infatti, costituiscono
proprio le doti indispensabili ad un uomo politico interessato a diffondere
vittoriosamente le proprie idee.
Clinton e Obama negli USA, Jospin in Francia, Lula in
Brasile hanno vinto negli anni passati anche per questo; buone idee e
capacità di trasmetterle al proprio elettorato con una forza incredibile
suscitando entusiasmo e approvazione.
Perché non tentare anche da noi con un personaggio che
esprime molto bene la sintesi tra idee progressiste chiare e capacità di
veicolarle ottimamente nella pubblica opinione?
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